Fra i tanti servizi fotografici professionali che si possono realizzare, con questo book fotografico a una bellissima modella (e ballerina) tatuata, ho voluto produrre tre differenti progetti…
Ebbene sì, la fotografia è un grandioso strumento di comunicazione. Il che, naturalmente, non sminuisce le sue altre caratteristiche ed essenze, per cui quella di essere una forma d’arte (come sostengono alcuni), per fare un esempio sopra tutti. Sappiamo però che essa, fine a se stessa, non aggiunge né toglie nulla, non è capace di “toccare” il cuore dello spettatore, o anche solo (per modo di dire) del cliente, non comunica -appunto- qualcosa. Ma se la si utilizza come strumento, anziché come fine, tutto cambia.
Come non mi stancherò mai di dire infatti, il primo passo da cui dovrebbe partire un fotografo, allo stesso modo un musicista, uno scrittore, un regista, ecc… è una domanda, essenziale:
cos’è che voglio dire?
Se ci pensiamo, potremmo rigirarla in svariati altri modi (e a proposito di altri strumenti di comunicazione, tipo la scrittura): che cosa mi chiede il cliente? Come vuole essere ritratta la persona che ho davanti? Che cosa ha bisogno di comunicare un’idea, una immagine pubblicitaria, un progetto, un reportage in un paese lontanissimo -oppure dietro l’angolo-, o anche solo un attimo passeggero per la strada: fugacità, tenerezza, commozione, comicità?
Ma veniamo al caso specifico: qualche tempo fa avevo pensato di rendere visibili alcuni miei pensieri, trasmettere delle idee che da un po’ mi frullavano per la testa. La mia intenzione, però, era quella di trovare un sistema a suo modo giocoso di farlo. E allo stesso tempo provocatorio.
Una prima idea ruotava -e ruota ancora- attorno a una certa visione, generalizzata ma fortunatamente non totalizzante, di Cultura, che a me convince sempre meno: essa infatti ci viene trasmessa come un concetto serioso, austero, irraggiungibile se non da eletti, per cui questo tipo di Cultura risulta essenziale (ci mancherebbe) ma statica, come cristallizzata nel tempo, se non addirittura nello spazio.
E’ una questione dietro alla quale mi arrovello (passatemi il termine) da alcuni anni. La cultura non è questo. La cultura è apertura, possibilità, studio ma anche desiderio, fatica ma anche divertimento. I libri non devono stare lassù, bensì fra noi. E, soprattutto, essi non sono gli unici depositari del sapere.
Insomma la mia intenzione era quella di togliere la “C” maiuscola alla parola (e qui sta parte della provocazione), però non per sminuirla o “sdoganarla” (termine oggi terribilmente di moda), ma anzi per renderla viva, accesa, popolare, come effettivamente, ed inevitabilmente, la cultura è. Essa infatti non dovrebbe risiedere solamente nei piani alti e impolverati delle biblioteche, come si diceva, non dovrebbe essere “il pane” soltanto degli addetti ai lavori, ma muoversi fra noi, realmente, in mezzo alle nostre giornate, perché (anche) noi, tutti, con le nostre storie e le nostre origini, siamo cultura.
Una idea di cultura con la “c” minuscola, come amo definirla!
Insomma, per fare questo ho pensato di associare due generi di immagini (all’apparenza) contrastanti: quella di alcuni libri e di alcuni dischi “immortali“, capolavori imprescindibili, quantomeno nell’immaginario comune, unita a quella di una bellissima ragazza, nella fattispecie modella e ballerina, con il corpo “dipinto” di tatuaggi.
Così ho pensato a uno shooting interamente preparato e realizzato in ambientazione casalinga, fra soggiorno, libreria, divano, e camera da letto.
Pensando all’associazione di immagini e di idee esplicate poco sopra, per cui ai grandi capolavori della letteratura e della musica pop/rock in mano alla nostra Suicide Girl Emanuela (che ancora ringrazio!), mi sono divertito a intitolare il lavoro “Mostri sacri“. Perché?
Perché i mostri sacri vanno dissacrati! 😉
Una seconda idea invece, un poco più ironica e con una esigenza meno “etica” della prima -seppure importante- era quella di realizzare una sorta di “manifesto visivo” di una grande canzone italiana, giocando col suo stesso titolo, la musica che gira intorno (di Ivano Fossati).
L’intenzione era di trasporla in immagine adoperando alcuni dei miei dischi in vinile 45 giri, per costruire una serie di “variazioni sul tema“. Nelle fotografie che ho voluto produrre, i dischi fungono da cornice, letteralmente, alla modella, che si fa “rinchiudere” da essi, ma al tempo stesso ci gioca. I diversamente giovani ricorderanno la frase portante di questa canzone:
Sarà la musica che gira intorno / Quella che non ha futuro / Sarà la musica che gira intorno / O saremo noi che abbiamo nella testa un maledetto muro
Il terzo gioco di provocazione/dissacrazione riguarda invece il mio stesso romanzo L’atlante dei destini. In questo caso l’intenzione è la più semplice e diretta di tutte e tre, ovvero quella di creare dei manifesti pubblicitari, o delle locandine, se preferite, mettendo in gioco un libro per me importante, e al quale lavorai per molto tempo, che spazia dall’amore alla politica, dal tradimento alla memoria, ambientato in giro per il mondo, prendendo a prestito voci di persone completamente diverse per farle raccontare episodi segnanti di sè.
Come metterlo alla prova, dunque? Semplice: utilizzando una testimonial oramai nota -se siete arrivati fin qua nella lettura!- e con pochi abiti indosso…
Anche questo gioco fu molto apprezzato, quando pubblicai le immagini la prima volta. Furono pochi, invece, coloro che “storsero il naso”. Segno che per loro la provocazione era andata… a buon fine 😉
Insomma, miei cari, siamo noi che abbiamo nella testa un maledetto muro, ma dobbiamo lavorare giorno dopo giorno per abbatterlo!
Ho parlato troppo, però, e so che ora vorrete guardare le immagini del lavoro che ha portato a questi tre piccolissimi progetti, a queste tre storie da uno shooting. Avanti, quindi! Potete dare un’occhiata a una selezione dell’intero lavoro, senza dimenticare, naturalmente, che per qualunque idea, curiosità, proposta o preventivo (gratuito) basta scrivermi!