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Era strano osservare Luz mentre parlava, pensò Antares. Checché ne dicesse, era la sua voce oleosa, così come la flemma perfettamente ritmata dei suoi pochi gesti, che contrastavano con il tumulto quasi poderoso dei suoi contenuti. Pareva una scogliera indifferente alla tempesta.
“Mancava poco alla chiusura. C’erano al bancone tre inservienti, un uomo e due donne. Quando venne il mio turno mi avvicinai a una delle donne, e le chiesi di parlare un minuto con Alma Beatriz Rojas Parra. La ragazza mi disse di attendere un istante, e andò nel retro. Tornò poco dopo e mi chiese di pazientare qualche minuto, Alma mi avrebbe raggiunto. Mentre vagavo fra le pareti colme di medicine, pannoloni, probiotici e spazzolini, venni distratta da una voce che mi chiamava a distanza ravvicinata, mi voltai e mi apparve una donna all’incirca della mia età, capelli corti castano chiari, occhi chiari, di un verde acceso, un sorriso attraente ma pienamente consapevole, labbra carnose, dentatura irregolare, indubbiamente affascinante, e… bassina… francamente molto più bassa di quel che immaginassi. Mi disse ‘Signora, mi cercava?…’. Per cui le sorrisi, forse non avrei voluto farlo ma lo feci, e le risposi ‘Sì, la cercavo, lei non mi ha mai visto ma credo mi conosca, mi chiamo Luz Inocencia Santana Carrasco’, e le tesi la mano. Me la tese anche lei, più per effetto domino che per slancio, e il bellissimo sorriso le si abbassò come le tende rosse dei teatri quando si chiude la scena, ha presente Antares?… Disse ‘Sì… sì… credo di conoscerla, ha bisogno di qualcosa?…’ e la voce canterina di prima s’afflosciò. Le risposi ‘Sì, vorrei parlarle, nulla di particolare, dopo la chiusura, oppure un altro di questi giorni, mi dica lei quando preferisce, tanto io vivo a Santiago, al momento’. La vidi molto contrariata, cominciarono a tendersi i muscoletti attorno agli zigomi e quelli ai bordi estremi delle labbra. Credo non sapesse cosa aspettarsi. Il fatto è che non sapevo neppure io stessa cosa aspettarmi. Mi chiese di attendere ancora un attimo, tornò nel retro, e dopo meno di un minuto riuscì dicendomi ‘Guardi, se vuole possiamo fermarci a parlare dopo la chiusura. Se ha modo di pazientare almeno un quarto d’ora’. Le sorrisi e le dissi che non c’era alcun problema, mi avrebbe trovata davanti all’ingresso.
“Ci andammo a sedere al Parque Forestal, qua dietro. Dopo qualche problema da parte di entrambe a trovare una sorta di tranquillità, alla mia domanda diretta se avesse ancora una relazione o dei contatti con Julian, mi rispose ‘No, non lo vedo, non lo sento e non so più nulla di lui da anni. La nostra relazione si interruppe poco dopo che Julian mi disse di vostro figlio… della sua gravidanza insomma, Luz. Forse ci frequentammo un altro paio di mesi, non di più. Ma c’è dell’altro’.
‘Guardi che non si deve giustificare, tantomeno ora’.
‘Non mi sto giustificando, è come stanno le cose, come stavano…’.
‘E da quanto tempo andava avanti?’
‘Preferirei non risponderle, mi perdoni…’
‘Se la perdono o l’ho perdonata, oppure non l’ho mai considerata colpevole, lo deciderò poi. Ma non si tratta di questo…’
‘Preferirei non parlargliene, per cortesia, la prego Luz…’
‘Mi ha detto che c’è dell’altro. Vada avanti…’
‘Terminata la nostra frequentazione, Julian scomparve, letteralmente. Una decina di giorni dopo lo cercai per una questione pratica di poco conto, ma non riuscii a trovarlo. Tempo dopo mi giunse voce, tramite un suo dipendente, che fosse tornato a casa della madre, che a quel tempo era molto malata, come sicuramente saprà, e che poi, una volta deceduta, fosse partito, con quel poco che deve aver avuto da parte, alla volta del sud-est asiatico, a vivere chissà dove, magari in una capanna di bambù su qualche atollo. Non so se tutto ciò fosse vero. Ma sa una cosa, Luz?… alla fine mi accorsi che non mi interessava, la fine che potesse aver fatto’
‘Vedo che ha lasciato quantomeno due ottimi ricordi…’
‘Temo di più…’
‘Già… temo anch’io’
‘Rimane il fatto che non più tardi di due anni fa, all’uscita dal lavoro, alla stessa ora di questa sera, venni avvicinata da un uomo, avrà avuto una cinquantina d’anni, carnagione olivastra, parlata spagnola sgrammaticata, indubbiamente inglese, che mi si presentò con un nome che non ricordo, e mi chiese conferma d’essere Alma Beatriz Rojas Parra, dopodiché mi consegnò una busta bianca senza alcuna iscrizione. Pesava più di una semplice busta, e aveva una piccola sporgenza. Rimasi immobile con la busta nella mano, osservandola e alternando lo sguardo fra quella e l’uomo che avevo innanzi. Nell’istante in cui feci per aprirla, l’uomo si voltò e se ne andò. Lo chiamai, urlai, feci qualche passo di corsa, ma con questi tacchi, come sa… Voltò l’angolo e non lo vidi più. Mai più. Aprii la busta dopo essermi guardata intorno a lungo, estrassi il biglietto dalla busta e mi accorsi che la sporgenza era una chiave, piccola, come quelle da lucchetto, mentre sul biglietto era scritto un indirizzo, un luogo di Santiago, in periferia. Ci misi due giorni a decidermi ad andare in quel posto, dopo aver guardato Google Maps, dopo aver osservato in lungo e in largo su Street View, dopo aver chiesto ad alcune persone cosa ci fosse di particolare in quella zona. Tutti mi guardavano un poco ironici, spiegandomi che di particolare in quella zona non c’era nulla che non ci fosse in qualsiasi altra zona periferica di qualsiasi altra città del pianeta. Insomma mi decisi e ci andai. Non mi chieda perché tutta quella paura… L’uomo che mi aveva consegnato il biglietto in strada mi aveva inquietata. Anche se a ben pensarci non aveva un aspetto particolarmente minaccioso. Ma… perché era lì? Chi gli aveva detto che io ero Alma?… Chi gli aveva detto che lavoravo lì?… Arrivai a quell’indirizzo in taxi, approfittando di una mezza giornata di riposo dal lavoro. Volevo chiedere al tassista di aspettarmi, pensi come me la facevo sotto! Poi non lo feci… L’indirizzo corrispondeva a una industria in disuso, un piccolo capannone che doveva essere stato un’officina o qualcosa del genere… Non c’erano cartelli né insegne. Provai ad addentrarmici da un grande cancello accostato ma tenuto fermo, per modo di dire, da una catena molto spessa agganciata ad un lucchetto. Presi la chiave che mi ero messa in borsa, la inserii nel lucchetto, la girai, e scattò. Ricordo che dissi qualcosa a voce alta, ‘C’è nessuno?…’ A raccontarlo oggi mi faccio un po’ ridere… Girai dentro dieci minuti buoni, anche se lo spazio all’interno era in fin dei conti piccolo. Mentre mi dirigevo verso il cancello per uscire, delusa e scocciata, mi accorsi che dietro la cancellata, di fianco al muro, c’era un sacchetto appoggiato per terra, quei sacchetti da negozio di scarpe. Appena lo scorsi affrettai il passo, vidi che era pinzato, feci per aprirlo e dopo aver strappato parte del cartoncino notai che dentro vi era effettivamente una scatola da scarpe. Introdussi una mano all’interno del sacchetto, e sollevai il coperchio della scatola ma senza estrarla. All’interno della scatola da scarpe vi era un’altra scatola, ma più piccola, cubica, e di metallo, con un gancio a pressione, ricordava vagamente una pietanziera, mi perdoni il paragone… Feci scattare il gancio e sollevai la parte superiore della scatola di metallo. Dentro vi erano soltanto della cenere e un portachiavi, uno di quelli di cuoio, con cucita sopra la bandiera del Cile. Non dovetti pensarci neppure un minuto, quando mi ritrovai quel portachiavi in mano, e non sta pensandoci neanche lei, Luz. Là dentro c’era Julian Rafael.’
Il vociare nel locale continuava ad essere intenso, ma si era livellato, difficilmente sporgevano voci o parole distinguibili. Antares cambiava postura ogni pochi minuti, accavallando o scavallando le gambe, spostando la tazza vuota, sfiorando le zollette di zucchero bianco e di canna, tirando in su e in giù le maniche della camicia sbottonata. Luz invece persisteva nel placido ondeggiare delle sue braccia, delle mani, dei muscoli del viso.
“Secondo quanto mi disse Alma, non venne mai a sapere quando morì, come, dove. L’uomo che si era presentato per consegnarle la busta con l’indirizzo di quel luogo non si fece mai più vedere. La fissai in silenzio a lungo, fra il rancore e la disperazione. Alma piangeva silenziosamente, ma io non potei fare a meno di domandarle:
‘Era stato mio marito, nonostante tutto, quel coglione! Perché quando le fecero ritrovare le sue ceneri non mi venne a cercare?’
‘Ci ho pensato molte volte in questi due anni, ma non l’ho mai fatto, è vero. E’ inutile che faccia l’ipocrita e le venga a dire che ci provai ma non ci riuscii. Ci pensai, ma non lo feci. Questo è quanto. E non so perché… non riesco a dirle altro…’
‘Dove si trovano ora quelle ceneri?’
‘A casa mia, in soffitta, sempre all’interno della scatola da scarpe. Ma avrebbero meritato di rimanere in quella fabbrica in disuso…’
Il tavolino, le sedie sulle quali erano seduti Luz e Antares, le tazze, i bicchieri e le bottiglie sugli scaffali e sopra al bancone ripresero a oscillare, proprio in quel momento. Tutti si guardarono negli occhi come a dire scappiamo o sta solo scherzando?… Dopo un secondo tutto si placò. Luz riprese la conversazione come se nulla fosse:
“Non mi ha detto ancora perché mi sta ad ascoltare”
“Perché lei ha cominciato a parlare”
“Quindi?…”
“Dobbiamo trascorrere qualche ora, non possiamo rientrare alle nostre abitazioni, siamo allo stesso tavolino…”
“E?…”
“Si è arresa mai, lei?”
“Le pare?”
“Sono un editore alla ricerca di storie”
“Le pare?…”
“Lei è una donna estremamente affascinante, Luz, mi permetta”.
“Permesso accordato. Lei è molto gentile. Mi ascolta, eppure non mi dice perché”
“Mi affascina ciò che ha mi confessato fino ad ora. E mi intriga il suo modo di raccontare, di smuovere placche della sua vita e di rimanere quasi completamente immobile”
“Non esistono le confessioni, Antares”
“Probabile”
“Perché si trova a Santiago, se posso permettermi?”
“Arrivo dalla Tierra del Fuego. Le fa ancora male ciò che le raccontò Alma Beatriz, il passato con Julian?”
“Magari mi risponderà più tardi, mettiamola così… Vede, Antares, Julian ha fatto due figli quando non ne voleva nemmeno uno. E, compresi loro, è scappato da quattro persone contemporaneamente, almeno. Mi fa male non essere stata capace di prendere atto di tutto questo disastro per tempo, quando già l’avevo intuito… Fatto sta che domandai ad Alma se fosse ancora innamorata di Julian. O se lo fosse stata.”
“E?…”
“‘Non lo sono mai stata’, mi disse
‘Sia sincera, Alma, per favore…’
‘Lo sono. E le dirò di più: la cosa triste è che l’ho saputo fin dall’inizio. Era attraente, certo, coinvolgente, ma innamorata… dio mio, no, mai!’.
‘Le è mai capitato, nella vita?’.
‘Che cosa?…’.
‘Di essersi innamorata’.
‘E questo cos’ha a che vedere con Julian?…’
‘Non mi deve rispondere, ovviamente’
‘Ora lo sono, sì. Di Enrique, il mio compagno. Viviamo insieme da tempo ormai. All’inizio ci frequentavamo ma ognuno tornava a far nanna a casa propria. Che non guasta mai, sia chiaro… Abbiamo compiuto un avvicinamento lento. Entrambi arrivavamo da acque torbide. Ora invece si vede il fondale. E le dirò, Luz, ci ho messo del tempo ad abituarmi all’idea della felicità. Poi ho capito che potevo darmi il permesso di viverla. A proposito, fra due minuti devo andare. L’ho chiamato per dirgli che avrei tardato un poco. Mi aspetta per cenare. Vallo a trovare, un altro così… Oltretutto cucina in modo fantastico! E la sa una cosa?’
‘Cosa?…’
‘Ogni sera, ogni mattina, mi chiede ‘Come stai?’
‘Non le era mai capitato?’
‘A partire da mio padre…’
‘Non avete intenzione di sposarvi?’
‘Le ho detto che amo Enrique! Perché dovrei sposarlo?…’
‘Già… Avete bambini?’
‘No. Non ne posso più avere, in seguito a un aborto spontaneo…’
‘Mi scusi… mi dispiace… sono stata troppo invadente…’
‘Bè… diciamo che quella invadente, nella sua vita, forse sono stata io…’
‘Neppure questo è vero, alla fine. Non tradisce chi sta fuori, ma chi sta dentro. Ecco perché sono qui a parlarle. Ma mi dispiace lo stesso. Ho messo il naso dove non ero tenuta…’
‘Forse lo era, Luz… Abortii vent’anni fa circa. Poco dopo che Julian scappò. Era figlio suo’
Interno notte – Fine parte 2
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