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Il passato non è mai morto. In realtà non è neppure passato.
-William Faulkner
Mentre rimandiamo, la vita passa.
-Seneca
La notte che conobbe Luz Inocencia Santana Carrasco, la terra aveva appena smesso di tremare. Fu la prima volta che la incontrava, l’ultima. Stava seduta a un tavolino in legno vicino alla porta in vetro di un bar affollatissimo.
Antares si affacciò sulla sala dalla porta d’ingresso, stava per desistere quando notò una sedia vacante di fianco alla donna, e la raggiunse. Si avvicinò, domandò se disturbava, ma con un breve sorriso lei gli disse di accomodarsi. Non parlarono per alcuni minuti. Avrà avuto quarantacinque anni, forse meno, i capelli lunghi quasi fino alle reni e nerissimi, tanto mossi da apparire disordinati, gli occhi neri quanto i capelli, ma luminosi, con due luci, come lampare oscillanti attraccate all’iride, però in un punto poco preciso. La bocca era sottile, così le labbra, che parevano bagnate di sangue, amaranto, eleganti, parlando si muovevano con grazia. Essendo seduta non era facile coglierne l’altezza, ma non sembrava particolarmente slanciata. Le mani però erano lunghe e affusolate, carnagione oleosa, come acqua placida di lago visitato al tramonto, era vestita di bianco, il sonno la velava.
Il cielo era ancora nero ma se ne intuiva la fine.
Antares era arrivato a Santiago del Cile da Villa Ukika, nella Terra del Fuoco, nel tardo pomeriggio precedente. Alloggiava in un appartamento dell’agenzia “Amistar Apartments”, al ventesimo piano della torre “c”, non lontanto da Plaza de Armas. Era stremato. Salito in camera, non ne era riuscito neppure per cenare, si era addormentato con i vestiti indosso. Gli era parso di sognare, vedeva un mare in tempesta e meraviglioso, lo guardava dalla spiaggia, era solo ma gli sembrava che accanto ci fosse qualcuno, una donna, però non ne scorgeva il volto. Pioveva, era freddo, il panorama era largo ma cupo, difficile, sofferente. A un tratto, non sa perché, si era immerso in acqua nonostante le condizioni del mare. Nel giro di pochi secondi aveva l’acqua alla gola, e veniva sbattuto da onde altissime e feroci, però non finiva mai con la testa sott’acqua, il che gli sembrò abbastanza strano, visto che si trovava nella tempesta. Non riusciva a trovare un appiglio, non capiva perché fosse entrato in acqua, non poteva andare in alcuna direzione se non dove lo lanciavano le onde, che facevano male e facevano rumore, fino a che si svegliò di soprassalto. E si accorse che il letto si sollevava e ricadeva, la rete lo scaraventava da una parte all’altra, gli oggetti cadevano dal comodino e la porta del bagno oscillava come una vela agganciata a un albero in tempesta. Sentiva il frastuono degli oggetti, ma soprattutto dei muri e dei mobili che scricchiolavano. D’istinto si mise seduto e capì che il terremoto stava facendo crollare in strada cocci di balconi delle case di fronte. Si alzò ma faceva una fatica mostruosa a reggersi in piedi. Sollevò lo sguardo e si accorse che comparve una piccolissima crepa alla parete, proprio dietro la testiera del letto. Fece per andare verso la porta, la aprì, e nel corridoio vide correre in direzione delle scale una moltitudine di persone urlanti. Afferrò le scarpe con le mani, e coi vestiti ancora indosso si lanciò anch’egli in corridoio. Dopo i primi passi, tutto cessò. Non sentiva più il pavimento ruggire sotto i piedi, e mentre arrivava alle scale, un attimo prima di cominciare a scenderle, si fermò. Era cessato, tutto era immobile, eccetto le persone che intravedeva attraverso le rampe, che continuavano a scendere urlando. Arrivato in strada si unì alla massa dei fuggiti dalle abitazioni, dagli alberghi, dai pochi locali aperti a quell’ora, erano le tre del mattino. Si accorse di tremare come tremavano i muri pochi istanti prima, ma Antares dalla paura. Con quelle scarpe in mano, non fosse per la circostanza, si sarebbe sentito un perfetto idiota, ma non lo era. La torre che ospitava gli appartamenti non aveva subìto danni gravi, almeno all’apparenza. Ma tante costruzioni, fra quelle più vecchie, erano andate a picco come mucchi di carte da gioco appoggiate le une alle altre. Per quanto il Cile sia abituato a terremoti di grande violenza, la paura negli occhi delle persone non conosce abitudine, e quella notte se ne rese conto. Furono costretti a rimanere in strada almeno fino al mattino. Così, quando capì che sarebbe andata per le lunghe, si rifugiò in quel bar, a pochi metri dalla torre. Si chiamava “Cafè de la Barra & Le Petit Bistrot”. Senza sosta, le luci e le sirene saturavano l’atmosfera. In lontananza, in almeno tre direzioni diverse, lungo viali e strade si scorgevano fiamme provenire dagli abitati e da un distributore di benzina. Continuavano ogni pochi minuti le scosse di assestamento, più lievi tranne una, che però essendo in strada si percepì meno di quando era sul letto.
Dopo un poco Luz Inocencia gli rivolse la parola e gli chiese di dove fosse. Rispose che era di Madrid, ma da anni viveva in Italia, e per le poche notti a Santiago alloggiava a due passi dal bar, tanto che le indicò il luogo col dito, attraverso la vetrina.
“Anche lei è di fuori?”
“No. Sono scappata di casa per il terremoto, ho paura a rientrare adesso. Preferisco far passare qualche ora, anche se cambia poco… Vivo sulla Merced. Da quello che mi dice, la stessa strada dove risiede lei.”
Parlando, Luz giocava a inclinare la tazza di un caffè americano con una mano, pensierosa, stanca, come allontanandosi da quel luogo, per poi farvi ritorno. Ne ordinò uno anche Antares, ma ci misero molto a servirlo. Del resto, fretta non ne aveva. Il locale era colmo. Evidentemente l’argomento di conversazione di ogni bocca era il terremoto, anche se qualcuno tentava battute di spirito. Dopo qualche minuto di silenziosi pensieri sparsi, Antares si rivolse nuovamente a Luz e le chiese quanto tempo era trascorso dall’ultimo terremoto violento. Gli rispose che si trattava di meno di tre anni, e parlandogli lo sguardo lievemente ondeggiante tornò ad allontanarsi. Stava per chiederle della sua casa, se avesse mai subìto danni importanti, ma venne anticipato, e poggiando le lampare dalle sue iridi allo sguardo di Antares, disse “Ricordo bene lo scorso terremoto, non so se fu dello stesso livello sismico di questa notte, ma fu ugualmente terribile. Sa… com’è che si chiama lei?…”, gli disse. “Antares, mi chiami pure così…” e Luz proseguì come se nulla fosse “…lo ricordo, Antares. Io i terremoti li ricordo tutti perfettamente…”, e d’istinto lui le rispose “Certo, immagino…” ma proseguì, ancora una volta come se Antares non avesse parlato “il terremoto nei sogni può indicare che ci sono novità in arrivo, significa che è successo qualcosa che ti ha profondamente scosso. Però significa anche insicurezza, oppure tensione fra zone della vita contigue che si scontrano, che ne so… il lavoro e l’amore, o gli affetti e le aspirazioni alla carriera e tutta quella serie di puttanate. Sovente si sogna il terremoto nelle grandi fasi di cambiamento epocali di una persona, la menopausa, la gravidanza, dicono che soprattutto durante le ultime settimane di gravidanza molte donne sognino in maniera ricorrente il terremoto. E infatti capitò così anche a me, molti anni fa. Credo però che la spiegazione più valida, almeno per me, sia la tensione che si crea fra la placca delle emozioni più profonde e la placca dell’incapacità, o della paura, a farle emergere, a comunicarle, a lasciarle libere di respirare e di vivere. E le emozioni dovrebbero sempre essere lasciate libere di esprimersi, per evitare di fare più casino di quel che facciamo. Vede, Antares… davvero non ha un cognome?…”, “…ce l’ho”, sorrise Antares, “semplicemente non gliel’ho detto…”, “…Vede, Antares, lei potrà credermi o no, potrà prendermi per pazza o semplicemente far finta di nulla e dimenticare fra un attimo ciò che le sto dicendo… ma io, da molti anni, a ogni terremoto che mi sorprende dove sto vivendo, cambio vita. A ogni scossa brutale, come quella di stanotte, o quella di tre anni fa, o le altre di cui fino a ora sono stata testimone diretta, ribalto la mia vita, la ricomincio altrimenti”.
Aveva una voce densa come l’olio, come la sua stessa pelle, ma leggera, sfumava ogni attacco e ogni levare, come se l’ultima parola di una frase, prima della pausa, non fosse interrotta, ma appoggiata.
“Mi sta dicendo che da questa mattina lei cambierà vita?…”
“Sì, cambierò nuovamente”, disse fermando la mano che continuava a muovere la tazza del caffè, e sollevando gli occhi per andarli a posizionare nuovamente su quelli di Antares.
“Bè… in effetti avrà cambiato chissà quante vite, mi permetta, vivendo in questo luogo…”
“Ha ragione, ma non ho sempre vissuto qui. Per la maggior parte del tempo, negli ultimi vent’anni, sono stata per lunghi periodi altrove”.
“E’ troppo sfacciato e complicato, conoscendoci da qualche minuto, domandarle che cosa ha intenzione di fare, da oggi in poi?”
Mentre terminava di fare la domanda, arrivò l’americano che Antares aveva ordinato. Luz accennò un sorriso che si incarnò timidamente fra i veli del sonno, e le due lampare nei suoi occhi tremarono più velocemente di quanto avessero fatto fino a quel momento. Fece come per raccogliere le idee, ma si intuiva chiaramente che erano già pronte le sue intenzioni, messe in fila, come bambini con zaino in spalla che aspettano solo che i genitori spengano la luce e girino la maniglia perché cominci la vacanza. Solo che quella di Luz non sarebbe stata una vacanza.
“Andrò nel Tamil Nadu, nel sud est dell’India, e per qualche tempo avrò base in una città che si chiama Madurai. Lì ci vive da molti anni una mia amica, sposata con un uomo del posto, un ingegnere indiano. Hanno una casa abbastanza grande e possiedono una stanza e un letto in più, e sanno già, o meglio, sapevano già che il mio prossimo terremoto mi avrebbe portata da loro. Nel giro di poco tempo, spero, troverò una sistemazione autonoma, anche se piccola, per togliere il disturbo a loro due. Ovviamente si starà chiedendo il motivo di questa scelta. Vede, Antares, io avevo un figlio, Santos Ruben, morto all’età di diciotto anni in un posto che si chiama Rameswaram, nel Tamil Nadu appunto, una specie di microscopica penisola in faccia allo Sri Lanka. Se lo portò via un’onda poco dopo essere uscito dall’acqua, a pochi passi da due suoi amici e la sua fidanzata, così mi è stato riferito, un autunno di due anni fa. Erano più di tre anni che non lo vedevo, era scappato di casa dopo una serie di bruttissimi litigi fra lui, me, e l’uomo che frequentavo allora, che non era suo padre. Come si suol dire, chiuse tutti i ponti con me e il resto della famiglia, mentre con suo padre non li aveva mai aperti. Anche Santos aveva vissuto poche settimane da questa coppia di amici, che tentarono di fare il possibile affinché riconsiderasse l’idea di rivolgermi quantomeno la parola, ma non fu possibile. Dopo quel primo periodo, se ne andò anche da lì. Non si riuscì a sapere quasi più nulla di lui, se non che faceva lavoretti (non so quanto puliti) per sopravvivere, e che frequentava questa ragazza inglese, ma soltanto nei lunghi periodi di vacanza estiva di lei e della sua famiglia. Pensi che non ho neppure idea di come si chiamasse questa ragazza. Se si stesse chiedendo come faccio a mantenermi, glielo spiego. Io di professione mi occupo di SEO, non so se ha idea di cosa si tratta. E’ l’acronimo dell’inglese Search Engine Optimization. In poche parole è un sistema relativamente complesso attraverso il quale si fa in modo che i motori di ricerca, sul web, indicizzino e posizionino nel migliore dei modi certi siti, sulla base delle ricerche che gli utenti compiono tramite parole chiave. E’ un lavoro molto ricercato, nonostante molti professionisti si stiano spostando quasi completamente sui social, e anche abbastanza ben pagato, ma soprattutto ha il vantaggio di poter essere svolto in qualsiasi luogo del mondo ci si trovi, basta possedere un portatile e internet. Ecco come riesco a mantenermi, nonostante la mia vita poco piantata coi piedi per terra. In India mi porterò appresso i miei clienti dentro la borsa del notebook, e mi guadagnerò da vivere come faccio qua in Cile. Non ritroverò mio figlio, non andrò nel cimitero dove sta la lapide col suo nome, perché lui non si trova lì. Lui è da qualche parte in mezzo all’oceano, su qualche fondale, fra l’India, lo Sri Lanka, o chissà dove, magari dall’altra parte del mondo, come quei resti che si rintracciano in Australia di un naufragio avvenuto in Giappone, o i pantaloni di un uomo spiaggiati in Sud Africa, morto durante uno tsunami in Indonesia. Non so dove sia oggi Santos Ruben, dove stiano facendosi dimenticare le sue ossa e la sua anima, ma io voglio raggiungere quantomeno la parte a galla di lui, la punta dell’iceberg della sua morte, per portargli quel poco di amore che mi è rimasto dopo tanto morire fra questa tempesta puttana della vita. Voglio andare laggiù e trascorrere qualche tempo su quelle sue ultime strade da vivo, e fra quelle onde di un mare che dal mondo raccoglie soltanto morte, e quella restituisce.”
La terra ricominciò a tremare, stavolta molto forte, ma durò pochi secondi. Era un’ennesima scossa di assestamento, nel locale molti si spaventaroro, Antares compreso. Luz rimase invece relativamente tranquilla, tanto che non fece neppure il gesto di alzarsi dalla sedia, come molti altri, per scappare in strada. Quando dopo qualche secondo la situazione parve nuovamente tranquilla, Antares, ancora fra lo stupore e la curiosità, le chiese quale fosse stata, invece, la sua vita precedente, ovvero quella fra il terremoto devastante di tre anni prima e quella notte.
“Cambiai lavoro, interruppi la relazione che stavo trascinando da qualche anno con quel ragazzo più giovane di me con cui anche Ruben aveva brutalmente litigato, e tentai, senza riuscirci, di rintracciare quel figlio di una grande puttana che è il padre di mio figlio, ovvero Julian Rafael. Partiamo dal lavoro. Io prima facevo la cameriera in un locale notturno, molto più grande e più cupo di questo, ma con un ottimo giro di clienti. Feci quel mestiere per non poco tempo. Dopo lo scorso terremoto decisi di mettermi a studiare, il più seriamente possibile, il SEO, di cui le parlavo prima, e dopo qualche tempo cominciai a cimentarmi con le pagine web di alcuni conoscenti. Vedendo arrivare i primi risultati, presi coraggio e mi ci imbarcai più seriamente. Fino a che non divenne il mio nuovo lavoro.
“Julian invece non lo trovai, ma accadde una cosa ugualmente interessante, e inaspettata. Deve sapere, Antares… se la sto annoiando me lo dica, la vedo attento ma magari è solo perché non ha il coraggio di dirmi che si è stufato…”
“Vada avanti, la prego, sono curioso… A proposito, io non le ho detto il mio cognome, è vero, ma lei non mi ha detto neppure il nome!”
“Disculpe!… Non me n’ero accorta, mi sono fatta prendere dalle mie vite! Mi chiamo Luz. Luz Inocencia Santana Carrasco. Come vede, sono stata più generosa di lei… Mi permetta di scherzare, Antares!
“Dicevo… Julian Rafael e io eravamo sposati da qualche tempo, quando rimasi incinta di Santos. Lo so, a volte lo chiamo Santos, a volte Ruben, a volte Santos Ruben, è una mania, mi sembra di farlo vivere di più… Io a quel tempo facevo l’università, studiavo giurisprudenza, quella cosa che, come disse Gabriel García Márquez da qualche parte, in America Latina si potrebbe tranquillamente evitare di fare, e cercavo di guadagnare qualche soldo facendo pulizie negli appartamenti di alcune famiglie. Julian invece lavorava a tempo pieno, aveva una piccolissima ditta di trasporti medicinali. E non guadagnava poi tanto male. Noi ci conoscevamo da molti anni, intendo prima del matrimonio, e non saprei dire, forse mai l’ho saputo, se quella storia fu una storia d’amore vero, o se confusi la felicità con un appagante torpore. Sa, Antares, troppe volte non è il padre dei nostri figli, né del primo né degli eventuali altri, l’uomo che si ama di più. Comunque sia, arrivammo a Ruben, prima ancora che Ruben arrivasse tra noi. Fu proprio durante le prime settimane di gravidanza, anzi, per essere precisi appena seppi di essere incinta, che scoprii che Julian aveva, da non so quanto tempo, una relazione con un’altra donna, tale Alma Beatriz Rojas Parra. Lo sa Antares, la osservo mentre parlo e… devo dire che mi piace la noncuranza con la quale accoglie le valanghe del racconto della mia vita!… ”
“Vada avanti, Luz, la prego…”
“E comunque… bè, di quella gravidanza non le sto a parlare perché temo che il più della morte che Ruben avesse assimilato nella sua vita, fosse quella respirata dentro di me durante quei nove mesi. Volli interrompere la relazione con Julian immediatamente, e così feci, anche senza bisogno di un terremoto! Bastò lui. Anche se dopo tanti anni ho imparato a dire… noi. Siamo noi i responsabili della nostra vita. Ma ce n’è voluta, per questa consapevolezza. Comunque sia Julian non oppose resistenza, credo si sentisse terribilmente in colpa, o forse non aspettava altro -come solitamente usano gli uomini- e se ne andò. Ebbene, dopo di allora non lo rividi più. Come le dicevo, tre anni fa, all’epoca del terremoto in seguito al quale cambiai lavoro, mi misi in testa di rintracciare quel coglione. Perché, si dirà? Avrei voluto guardarlo in faccia, dirgli della morte del nostro unico figlio, ammesso che non l’avesse saputo altrimenti, cosa possibile in fin dei conti. Avrei voluto dirgli che non si spreca tempo nella noncuranza, nella falsità. Avrei voluto dirgli che l’onestà e la responsabilità, nonostante la cattiva reputazione di cui godono i termini che le definiscono, sono in realtà un viatico alla serenità. Solo che… non so Antares, tutto questo si impara quando ormai siamo stati mediocri a sufficienza da distruggere parte di noi e degli altri. Fatto sta che le ricerche non mi portarono a Julian. Però un giorno, parlando con un ex dipendente della sua ditta di trasporti -il quale mi disse che di Julian, fin dal tempo della nostra separazione, non s’era più saputo nulla- venni a conoscenza del fatto che in una farmacia, qui a Santiago, lavorava ancora Alma Beatriz, la donna con la quale il coglione aveva instaurato la relazione che portava avanti mentre io portavo avanti la gravidanza. Sulle prime ebbi un istinto di rigetto, una ripulsa. Dopo qualche giorno però venni vinta dalla curiosità. Ed entrai in quella farmacia.”
Interno notte – Fine parte 1
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